
Siamo 5, la palla è una
I giocatori hanno un grandissimo punto di forza. Quello di cominciare a giocare col sogno di diventare campioni. La potenza dei sogni è un’arma devastante. Ma i giocatori hanno anche un peccato originale grave. Quello di cominciare a giocare col sogno di diventare campioni. In uno sport di squadra, le ambizioni personali possono diventare un handicap devastante. Chiariamo: essere ambiziosi non si può, si deve. A livello senior, il primo giorno dicevo sempre ai miei: se avete una rivincita da prendervi, qualcuno a cui farla pagare, qualcosa da dimostrare, va benissimo. Sarà la vostra benzina. Ma dev’essere incanalata negli obiettivi di squadra. Altrimenti vi sedete.
NON LI SOPPORT… AVO
La prima categoria di giocatori che non sopporto… no, che non sopportavo, era proprio quella: gli egoisti che antepongono i propri obiettivi a quelli della squadra. Vinciamo, ma tu appendi il muso fino a terra perché hai giocato male? Non hai capito niente. E’ normale che ti tira il cu… il sederino, ma pensa a giocare bene la prossima e intanto goditi la vittoria della TUA squadra. Perdiamo, ma tu sei sereno e tranquillo perché hai fatto 20 punti? Vai a giocare a Tennis. Se giochi a basket devi guardarti intorno e vedere 11 maglie uguali alla tua, con dentro 11 compagni che hanno le tue stesse emozioni. Altra categoria odiosa, quelli che invece di distinguere tra “buoni tiri” e “cattivi tiri” ragionano solo in termini di “sono 5 possessi di fila che non tiro”. Se sono cinque volte che fai il campo su e giù senza tirare, questo non ti autorizza al sesto possesso a sparare un tiro assurdo. Stavo per scrivere “un tiro del cazzo”, che rende meglio l’idea e in un Blog politicamente scorretto ci sta anche. Ricordo una recente considerazione di Ettore Messina: “Dovunque ho allenato, il problema principale è stato sempre convincere i giocatori a condividere la palla”. Che è una, mentre voi figliammamma siete cinque. Ergo: uno ha la palla, gli altri 4 no. La matematica non è un’opinione.
BRAVATE MINORI
E vai con le bravate dei signorini in mutande durante gli allenamenti. Prima dell’orario di inizio tutti in campo a tirare. Bene. Chiami la squadra a metà campo per cominciare: puntualmente c’è qualcuno che proprio in quel momento deve allacciarsi le scarpe e ci mette una vita. Perché non l’ha fatto prima? Mistero. Lavoro a quartetti. Squadra bianca, rossa e blu. “Coach, ho dimenticato la maglia blu”. La testa l’hai portata? Giusto perché è attaccata al collo. Pausa di tre minuti a metà allenamento. C’è sempre quello che prima di andare a bere spara un tiro in gancio da 20 metri senza prendere niente, la palla finisce chissà dove (in tribuna, nel corridoio degli spogliatoi, sotto le gradinate, introvabile) e tu rimani con un pallone in meno per l’esercizio con cui si riprende dopo la pausa. Fine del waterbreak, appunto. Si ricomincia, dieci su 12 sono pronti, ma ci sono sempre due che continuano a cazzeggiare come se fossero al bar senza capire che è ripreso l’allenamento. Tiri liberi alla fine. Il fenomeno di turno sbircia per assicurarsi che tu non lo stia guardando, poi tira al tabellone o con la sinistra. “Ti vedo, fai 5 piegamenti e piantala di fare il cretino sennò stai qui fino a mezzanotte”. L’allenamento dopo lo rifà. Queste ovviamente sono le cosucce meno gravi. Le altre, quelle tecniche, nella prossima puntata.
VISTA PERIFERICA
Il problema di fondo è sempre quello. Rendersi conto che in campo non sono solo. Ma molti giocatori non hanno abbastanza “visuale periferica” per accorgersi dei compagni. E’ questo il motivo per il quale, spesso, sentite questa frase: “Quando giocavo stavo nel mio, pensavo a me e non mi rendevo conto di molte cose. Adesso che alleno devo vedere tutto, controllare tutto e rendermi conto di tutto. La fatica mentale non è neanche lontanamente paragonabile”. Ah si? Ma guarda. Ti meriti che uno dei tuoi si allacci le scarpe mentre stai parlando, dimentichi a casa “the reversible jersey” e lanci il pallone in tribuna a ogni allenamento. (1. Continua)
👏👏👏👏👏
…di gente intorno a me!