Paf, ecco lo staff

In principio era l’allenatore. E l’allenatore era presso il basket. E l’allenatore era il basket. Somiglia troppo al prologo del Vangelo secondo Giovanni, ma rende l’idea. Ai tempi non c’era neanche bisogno di specificare “capo” allenatore, ogni squadra ne aveva solo uno. Poi cominciò ad affermarsi la figura del vice, diciamo a partire dagli anni ’70.

Un apripista decisivo fu Dan Peterson, che quando venne a Bologna (1973) portò con sé come assistente il suo pretoriano John McMillen. E quando passò a Milano (1978), valorizzò con grande efficacia comunicativa il ruolo e le funzioni di Franco Casalini. A livello di comunicazione, Peterson era il Velasco dell’epoca: dettava legge. A quel punto, dopo gli indottrinamenti del piccolo Dan, la prima “rivoluzione” era bella che fatta: in Italia non c’era più nessuno che non giurasse sull’importanza del vice allenatore.

In realtà la figura del vice bravo, prestigioso e con grandi responsabilità non l’ha inventata Peterson. Esisteva già e si chiamava Sandro Gamba, per 8 lunghi anni assistente di Cesare Rubini al Simmenthal Milano. Talmente bravo e prestigioso che alla fine faceva tutto lui. Oggi se ci mettiamo ad elencare i “vice” che poi si sono costruiti una carriera di successo come capo allenatore non finiamo più.

Il passo successivo, negli anni ’80, fu l’introduzione del secondo assistente. A qualcuno di noi  l’ampliamento dello staff a tre componenti sembrò un’esagerazione. Eppure comportava più posti di lavoro. Il mio compagno di corsi Andrea Carosi era solito commentare: “Ahò, nun bastavano er primo, er secondo, mò pure er dorce”. Battutona. La verità è che un terzo allenatore era il sintomo di come la conduzione tecnica di una squadra stesse evolvendo sempre più verso criteri di lavoro d’équipe, decisamente più scientifici, e con la composizione di staff estremamente professionali. Sia in campo, per la suddivisione dei compiti durante gli allenamenti, sia in ufficio e al computer, per la video analisi e i filmati.

Negli anni ’90, dagli Usa arrivavano esempi di accurata specializzazione e divisione dei compiti. Un assistente per la difesa e uno per l’attacco, per dire. Oppure la figura del “senior assistant”, ovvero un assistente più avanti con gli anni rispetto al capo, con compiti di consigliere esperto. Il più noto è stato il grande Tonino Zorzi, verso la fine della sua carriera.

In Italia i due assistenti, di solito, erano quelli che dovevano sciropparsi nottate insonni al computer per montare i filmati sulle avversarie, oggetto di riunioni video con la squadra. Poi è chiaro che ogni staff si organizza al suo interno come meglio crede.

E arriviamo ai giorni nostri. Oggi la composizione dello staff non si ferma più nemmeno a tre. Soprattutto da quando ha preso piede la figura professionale del “Match-Analyst”, un allenatore addetto ad analizzare le partite sminuzzandole accuratamente. Ne vengono fuori dati straordinariamente utili al lavoro sul campo, alla correzione degli errori, alla preparazione del piano-partita.

Non dimentichiamo poi il preparatore atletico, che lavora in stretta sintonia e coordinamento con gli allenatori. Un esempio di staff assai articolato? Prendiamo ancora una volta Milano. Prima delle dimissioni di Messina c’era lui come head coach. Peppe Poeta, che ora gli è subentrato, non era definito vice ma associated head coach, in pratica un secondo capo allenatore. Poi ci sono due assistant coach, Alberto Seravalli ed Emilio Kovacic. Poi c’è la figura del player development coach (Giuseppe Mangone), ovvero l’allenatore che lavora sul miglioramento individuale dei giocatori. E infine un video-coordinator (Stefano Bertoli) e un video-analyst (Mattia Bonetti). Totale componenti dello staff, 7. Sempre prima che si dimettesse Messina.

Finita qui? Ma neanche per sogno. Questo era lo staff tecnico, poi c’è il cosiddetto performance-team, che comprende due preparatori atletici e 4 fisioterapisti. Se ci limitiamo a chi lavora sul campo, arriviamo a 9 membri. Altro che “er dorce”, ci stanno anche il caffè e tutti i vari liquorini. Però, se chiedete a qualunque allenatore come si articola il lavoro coi suoi collaboratori, invariabilmente risponderà: ascolto il parere di tutti, poi alla fine decido io.

La morale? A morale è che ar cavajere nero nun je devi cacà er… no, questa è un’altra. La morale è che lo staff può essere numeroso e articolato quanto vuoi, gli assistenti bravissimi e competenti, l’organizzazione perfetta. Ma di fronte alle sue responsabilità e alle sue decisionI, l’allenatore è e resta un uomo solo.

Paf, ecco lo staff

\ Get the latest news /

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna su
PAGE TOP