
Il nuovo Meneghin
Quando ero ragazzo, ogni volta che si affacciava alla ribalta un giovane lungo, puntualmente i giornali scrivevano: “E’ il nuovo Meneghin”. Sempre. Invariabilmente. Il Simmenthal faceva esordire Vecchiato? Era il nuovo Meneghin. La Virtus prendeva Villalta da Mestre? Sarebbe diventato il nuovo Meneghin. Alla festa di paese un tizio saliva sui trampoli? Guarda, il nuovo Meneghin. Già allora, da adolescente, mi veniva da pensare Madonna questi che fantasia.
Sono passati molti anni, ma questa sublime forma di giornalismo non è cambiata. Nel calcio, appena un mancino un po’ chiatto si mette il 10 scrivono che è il nuovo Maradona. Il mondo è pieno di nuovi Leo Messi e Cristiano Ronaldo. Non c’è ancora un nuovo Lamine Yamal giusto perché ha 18 anni, ma non dovremo aspettare tanto.
Nel basket non c’è più Meneghin a catalizzare i paragoni, ma il giochino continua. Per la Gazzetta dello Sport, una decina di anni fa Achille Polonara era il nuovo Galanda. Belinelli? Ma è ovvio, il nuovo Antonello Riva. Gallinari, appena arrivato in Nba, è subito diventato il nuovo Peja Stojakovic. Eurosport ha scritto che Alessandro Pajola è il nuovo Milos Teodosic, Niccolò Melli neanche a dirlo era il nuovo Bargnani. Simone Fontecchio, visto che nessuno gli trovava un alter-ego, se l’è scelto da solo: tempo fa disse di voler somigliare a Joe Ingles, l’australiano che gioca in Nba a Minnesota. E anche Luigi Suigo, il 18enne di due e 20 lanciato da Milano (che poi non è andato nell’Ncaa, ma in Serbia), sembra essere stato contagiato: in un’intervista a Sky Sport ha detto che vuole essere il nuovo Wembanyama, il francese alto due metri e 32 che gioca a San Antonio.
Insomma, non c’è verso che qualcuno arrivi in alto somigliando a se stesso. Per eccellere bisogna essere per forza il nuovo qualcuno. Una volta sola, quando i giornalisti hanno parlato di “nuovo Meneghin”, indiscutibilmente ci hanno preso. In realtà gli somigliava poco, nel senso che aveva caratteristiche diverse e giocava in un altro ruolo. Però era il figlio.