Professionismo a giorni alterni

Che io mi ricordi, in serie B e C molte Società giocano da sempre sull’equivoco professionismo o dilettantismo. Nel senso che i giocatori e gli allenatori vengono considerati professionisti se bisogna giudicarne l’impegno e il rendimento, ma come per magia ridiventano dilettanti nel momento in cui devono essere pagati. Ogni tre per due (ma che significa? Boh. Però rende l’idea) salta fuori qualche presidente a dire che i tempi sono cambiati, che c’è crisi, che giocatori e allenatori non possono pretendere di vivere di pallacanestro, che il professionismo ha senso solo in serie A. Le mensilità una volta erano 10 (tanto dura una stagione agonistica, includendo preparazione  precampionato e lavoro di miglioramento individuale post campionato). Poi sono diventate 9, perché far lavorare individualmente i propri tesserati, per i Club, passa in secondo piano rispetto all’esigenza di stringere la cinghia. E in qualche caso addirittura otto, salvo playoff, playout e le diavolerie che si sono inventati adesso in serie B. Non parliamo poi dei ritardi con cui vengono pagati gli stipendi. Per capire di cosa parliamo, l’ultimo anno che ho allenato in B (2017-18) la nostra settimana tipo era la seguente. Martedi mattina: seduta di muscolazione in sala pesi, a seguire tecnica individuale sul campo. Martedi pomeriggio: riunione tecnica con filmato sulla nostra ultima partita, poi seduta di atletica e a seguire allenamento di squadra. Mercoledi pomeriggio: allenamento di squadra. Giovedi mattina: seduta di muscolazione in sala pesi, a seguire tecnica individuale sul campo. Giovedi pomeriggio: allenamento di squadra oppure amichevole. Venerdi pomeriggio: allenamento di squadra. Sabato mattina, riunione tecnica con filmato sui prossimi avversari (un montaggio di clip ricavate dalle loro ultime tre partite), poi  seduta di ripasso tattico del piano partita e tiro. Domenica: partita in casa, oppure partita in trasferta con partenza non di rado la domenica mattina, o in caso di viaggio molto lungo partenza il sabato pomeriggio. E rientro in sede magari all’alba di lunedi. Ha l’aria di un programma di allenamenti per gente che gioca a basket per hobby? E’ un ritmo di impegni che consente di fare anche chissà quale altro lavoro? Che poi attenzione: il professionismo “di fatto” non se lo sono inventato giocatori e allenatori. Il professionismo è figlio della necessità di ottenere risultati, delle pressioni e dello stress che ne deriva. Allora, il punto è semplice: o mi paghi il giusto e in modo puntuale, e allora si, puoi pretendere questo tipo di impegno. Oppure mi tratti da dopolavorista, quindi accontentati di un impegno da dopolavorista.  Il programma settimanale andrebbe rivisto e corretto così: riduzione degli allenamenti da 7 a non più di tre; abolizione delle sedute video; nessuna possibilità di “taglio” per i giocatori e di esonero dell’allenatore (che fai, licenzi uno che NON sta lavorando?); diritto di rispondere per le rime a insulti e/o minacce che arrivano dalla tribuna (sto coltivando il mio hobby e mi insulti pure? Io vengo forse a offenderti mentre fai giardinaggio?); le trasferte si trasformano in gite; sul pullman della squadra salgono anche mogli e fidanzate. E che dilettantismo sia.  

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