Il talento è morto. Soffocato

Gli istruttori ingabbiano i ragazzi negli schemi, invece di lasciarli liberi di dare sfogo alla propria creatività. In questo modo ne soffocano il talento. Alzi la mano chi non ha mai sentito questa frase. E’ una teoria diffusa, il ragazzino talentuoso che ha l’istinto del gioco e l’allenatore che lo “soffoca”, mortificandone le qualità. Di riffe o di raffe (ma chi l’ha inventata sta filastrocca?) la colpa è sempre degli allenatori. Ora: su una cosa siamo tutti d’accordo, la tattica non dev’essere anteposta alla tecnica. Prima impari a tirare, passare, palleggiare, poi viene il resto. Ma qui casca l’asino, come diceva Totò. “Il resto” non sono solo i famigerati schemi. Il basket è sport di squadra, quindi il “resto” include anche le collaborazioni, ovvero le situazioni di gioco collettivo.

NON SONO SCHEMI

I fondamentali individuali sono la base di tutto, ma poi? Come si gioca insieme? E’ necessario incastrare le tessere del puzzle, altrimenti si riduce tutto all’uno contro uno. Invece sono “fondamentali”, nel senso letterale del termine, anche le situazioni “spezzate” di gioco collettivo, cioè di squadra: 2 contro 2, 3 contro 3, 4 contro 4. Che NON sono schemi. Non si può battere una difesa organizzata, con gli aiuti, i raddoppi, le rotazioni, solo con l’uno contro uno. E’ necessario sapere come si gioca insieme, che NON vuol dire giocare con gli schemi. In altre parole, i fondamentali individuali non sono compartimenti-stagno indipendenti l’uno dall’altro, ma vanno contestualizzati in una situazione reale di gioco.

IL TALENTO? E CHI LO TOCCA?

Questo non è un sito di tecnica, cerco di rendere l’idea senza addentrarmi troppo nei particolari. Se voglio passare la palla a un ragazzo che ha preso posizione spalle a canestro, e quindi lavoro sul concetto di allineamento palla-post basso-canestro, non sto “facendo gli schemi”. Sto insegnando ai ragazzi a collaborare in vista di un obiettivo. Se dico al mio esterno -bravissimo tiratore naturale, grazie al suo talento- quali sono le letture corrette in uscita dai blocchi a seconda di cosa fa la difesa, non sto “soffocando il suo talento”. Al contrario, gli sto dando gli strumenti per esprimerlo. Altrimenti il suo tiro micidiale potrà usarlo giusto nelle gare senza difesa, perché in partita non riuscirà nemmeno a ricevere la palla. Se dico al mio giocatore di talento nell’uno contro uno che non deve attaccare il ferro da fermo, ma in una situazione dinamica, dopo che la palla ha cambiato lato, non sto uccidendo la sua fantasia, gli sto insegnando a non andare a schiantarsi sugli aiuti. E se spiego al palleggiatore, al bloccante e agli altri tre solo apparentemente non coinvolti che il pick-and-roll non è un gioco a due, ma una collaborazione a 5, non li sto facendo giocare “con gli schemi”, li sto facendo giocare. Poi è chiaro che chi ha talento, ovvero predisposizione naturale a fare le cose, le farà con più creatività. Mi viene in soccorso un concetto caro a Ettore Messina: “L’obiettivo del settore giovanile non è solo costruire giocatori. Bisogna costruire giocatori che alla fine del percorso giovanile abbiano un livello di conoscenza delle situazioni di gioco tale da renderli pronti ad arrivare in prima squadra”. Chi è forte individualmente, ma non sa giocare in cinque, è pronto giusto per le partitelle al playground, non per quelle vere. Ingabbiare il talento con gli schemi può essere un pericolo reale. Ma molto più spesso è un luogo comune ripetuto a pappagallo senza cognizione di causa.  

Il talento è morto. Soffocato

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