Basta che paghi

Diceva Dan Peterson, un mucchio di anni fa: “Non voglio guadagnare meno dei miei giocatori. Quando discuto un contratto, voglio sapere chi è quello dei miei che prende di più. Dopodiché pretendo che il mio ingaggio sia superiore, anche di poco ma superiore”. Traduzione: in squadra non voglio nessuno che abbia un potere superiore al mio. A pensarci adesso mi viene da piangere. L’allenatore che guadagna meno dei giocatori (e che ha meno potere) è la regola, una specie di legge non scritta. Eppure quando si perde si cambia allenatore, non è così? Equivale a dire che quello che influisce di più sui risultati è lui, quindi secondo logica dovrebbe guadagnare di più. Invece, cornuto e mazziato.

FINACCIA

Il furbo Dan la sapeva lunga, il suo intento era valorizzare il coach come figura centrale e come punto di riferimento nella vita del Club. Uno che non si limita ad allenare la squadra, ma sceglie i giocatori (compatibilmente col budget), concorda gli obiettivi con la Società, contribuisce a stilare la programmazione. E quindi guadagna in proporzione alle sue responsabilità, visto che fa un lavoro qualificato, magari ha alle spalle anni di studio e di esperienza e svolge anche mansioni direttive. Una volta era così. Adesso? Adesso il coach è spesso l’anello debole, se piove è colpa sua e per giunta guadagna meno dei giocatori. Che finaccia.

SINDACATO

Si lo so cosa state pensando, voi 25. Gli allenatori se la sono cercata, nel senso che hanno accettato quasi supinamente la svalutazione del loro lavoro e non hanno mai avuto una vera coscienza di categoria. A cavallo tra gli anni ’90 e il nuovo millennio sono stato fiduciario per l’Abruzzo per L’Usap, il sindacato degli allenatori. A una riunione dissi: ok, vanno bene i clinic, vanno bene le dispense, ma un sindacato dovrebbe occuparsi soprattutto di tutelare gli iscritti. Contratto-tipo, minimo salariale, versamenti pensionistici. Non si può fare, mi risposero. Davanti a me era seduto Aldo Corno. Mi disse: “Io che alleno la Nazionale donne e ho vinto 12 scudetti nella Femminile, per la Fip ho lo status da dilettante. Fa un po’ tu”. La riforma che ha introdotto la figura del lavoratore sportivo anche sotto alla serie A maschile è arrivata 20 anni dopo.

L’INELUTTABILE

Ma torniamo a bomba, come disse uno che andava a trovare Bonaccorsi. Cosa accade quando c’è un esonero? Il clichet è sempre lo stesso. Si affilano un po’ di risultati negativi, il clima si appesantisce, l’allenatore diventa nervoso. E parte la spirale. Gli allenamenti perdono serenità, il taglio aleggia nell’aria, i giocatori se lo aspettano. Anzi, i meno leali LO aspettano. Non è che non gli vada a genio quell’allenatore lì. Però pensano: adesso lo mandano via, se ne perdiamo un’altra è andata. Così restano in attesa dell’ineluttabile, senza reagire. Sotto questa cappa di piombo, solitamente arriva il capolavoro numero uno della dirigenza. Dopo due-tre sconfitte consecutive, va di gran moda scrivere in un comunicato che “La Società rinnova la fiducia all’allenatore”. Un modo perfido e strisciante per indebolirne ancora di più la posizione. Poi scatta il capolavoro numero due: mentre annunciano a reti unificate di sostenere il coach, i dirigenti convocano i giocatori più autorevoli (ovviamente senza dir nulla all’allenatore) e gli chiedono: che ne pensate di questo qua? Come vi trovate? Come reagireste in caso di cambio? Capirai. Se la “rinnovata fiducia” è in realtà un modo subdolo per mettere in discussione la guida tecnica, dare ai giocatori la facoltà di esprimere un giudizio è il colpo di grazia. A quel punto l’allenatore è in balia degli eventi e non ha più alcun potere. Altro che le teorie di Dan Peterson. Ciliegina sulla torta, dopo l’esonero arriva il capolavoro numero tre. Si annuncia il provvedimento con un altro comunicato, che è un concentrato di ipocrisia (lo ringraziamo per il lavoro svolto, gli auguriamo le migliori fortune, bla bla bla, ma figurati). Non basta: quel comunicato è pure il trionfo della presa per il culo. Una delle formule più utilizzate è: “Paga anche colpe non sue”. Apperò, non fa una piega! In quali altri lavori uno viene licenziato e “paga anche colpe non sue”? Non me ne viene in mente neanche uno. Gli altri “colpevoli”, invece? Vengono premiati? No, semplicemente “Non hanno più alibi”. Aperta e chiusa parentesi: dei comunicati-fotocopia e degli uffici stampa che cucinano tutti la stessa minestra ne abbiamo già parlato, vero? Eh ma ci torneremo.  

LA SCOSSA

A proposito della stessa minestra. Un’altra “perla” di solito è: “C’era bisogno di dare una scossa”. In effetti è vero, la scossa arriva. La novità stimola una reazione, il cambio di guida tecnica produce allenamenti più intensi. Tutti che ci danno dentro e lavorano duro senza fiatare. C’è un solo problema. La scossa dura due settimane. Dimostrato. Matematico. Giusto il tempo di far scrivere ai giornali: “Tizio ha rigenerato la squadra”. O il grande classico: “La cura-Tizio funziona”. Poi, se la squadra ha problemi strutturali o di chimica, si sprofonda di nuovo nella mediocrità. E aumentano le uscite. Un mio amico diceva sempre: tutto si può fare, basta che paghi. (3. Fine)

Basta che paghi

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4 commenti su “Basta che paghi

  1. Coach Piero, sei una grande persona, semplice e sincera!
    Ti stimo sia come Coach che come persona come tutti in famiglia abbiamo stimato il Tuo Papà.
    La tua disamina è perfetta ma non tutti riescono a capirla eppure è semplice!
    Sic itur ad astra❤️

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