La lettera di Dan all’NBA

Non c’è nessun altro personaggio del basket che abbia avuto impatto e notorietà fuori
dall’ambiente del basket come Dan Peterson. Lo conoscono tutti. Per gli articoli sulla Gazzetta
dello Sport, per le telecronache del Wrestling, per gli spot pubblicitari, per le ospitate in Tv a
parlare di qualunque cosa. Qualcuno addirittura ignora che prima di tutto questo facesse
l’allenatore.
A ricordarcelo sconosciuto 37enne, chiamato in Italia dall’avv. Porelli ad allenare la Virtus Bologna,
siamo rimasti in pochi. Era il 1973. Daniel Lowell Peterson all’epoca aveva allenato solo un College
minore negli Usa, la Delaware University, e la tutt’altro che prestigiosa Nazionale del Cile. E infatti,
la reazione unanime fu del tipo: “Ma questo qui Porelli dove lo ha pescato?”.
Peterson arrivò dall’America che indossava terribili stivaletti col tacco, improbabili pantaloni a
quadretti e giacche multicolori, per non parlare dell’acconciatura da paggetto. Nessuno poteva
immaginare che razza di personaggio sarebbe diventato. Porelli, prima diesse e poi presidente
della Virtus, lo definì “una spugna”. Nel senso che assorbiva e assimilava tutto, elaborava,
imparava. Nel giro di poco tempo Dan conosceva Bologna e i suoi segreti meglio di un bolognese.
Cominciò a vestire abiti di alta sartoria, comprendeva perfettamente l’italiano e lo parlava in modo
volutamente distorto, per creare il personaggio. Un incredibile manager di se stesso.
E qui ci agganciamo all’episodio oggetto del Flashback. Bisogna calarsi nei tempi: primi anni ’70,
niente Internet, collegamenti zero. Oggi la NBA sa ovviamente tutto del basket al di fuori degli Usa.
Quello invece era un periodo in cui la patria del basket viveva nel suo splendido isolamento, e noi
a nostra volta le gesta dei John Havlicek e dei Kareem Abdul Jabbar ce le potevamo solo
immaginare.
Erano tempi, per dire, in cui un giovane Valerio Bianchini, con lo pseudonimo di Wally White, si
fingeva corrispondente dagli Usa del mensile Giganti del Basket e raccontava il basket NBA
leggendolo sulle riviste che arrivavano dagli States, senza muoversi dalla sua scrivania.
Bene: alla fine del suo primo campionato in Italia, nel 1974, Dan Peterson ebbe la fantastica idea di
scrivere una lettera a tutti i Club dell’NBA, invitandoli a prendere in considerazione alcuni giocatori
statunitensi che secondo lui erano all’altezza di stare dall’altra parte dell’oceano. “Il livello del
campionato italiano è piuttosto alto -questo era il succo della lettera, più o meno- e ci sono diversi
americani arrivati qui dal College che magari meriterebbero una ‘chance’ nell’NBA. Fossi in voi gli
darei un’occhiata -concludeva Dan- perché, se possibile, vorrei non dover giocare contro qualcuno
di questi l’anno prossimo”. Come dire: cara NBA, prenditi gli americani più forti che giocano in
Italia e toglimi dalle scatole gli avversari più pericolosi. In particolare Peterson aveva indicato Steve
Hawes della Reyer Venezia, Bob Morse dell’Ignis Varese e Chuck Jura della Mobilquattro Milano.
Ora, quella lettera sarebbe dovuta restare segreta. Ma come spesso accade in questi casi, divenne
invece di dominio pubblico. Qualche giornale addirittura la pubblicò integralmente. Risultato: lo

scaltro Dan si fece una fama da furbastro e andò immediatamente sulle scatole a molti dirigenti e
allenatori italiani. Tonino Zorzi in particolare, che allenava la Reyer, era furente al pensiero che
qualche Club americano potesse interessarsi al “suo” Hawes. “Peterson ora non dovrà
meravigliarsi -scrisse Giganti- se qualche suo collega italiano non lo saluterà più”.
In quel momento di sicuro nessuno immaginava che l’uomo venuto dall’Illinois avrebbe fatto 14
anni di carriera in Italia, vincendo 5 scudetti, tre Coppe Italia, una Coppa dei Campioni e una Korac,
e che poi si sarebbe costruito una carriera da opinionista e commentatore anche fuori dal basket.
Stando simpatico a tutti.

La lettera di Dan all’NBA

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