FLASHBACK

La finale invisibile (2.)

Dov’eravamo rimasti? Ah, si: il tifoso di Palestrina che minaccia me e il dottor Battista con una pietra. Facciamo un passo indietro. Cos’era successo di tanto grave tre giorni prima a Roseto, in gara 1, per scatenare quella terribile sete di vendetta?

C’era un’atmosfera da grande evento, quella domenica al palazzetto. Che non si chiamava ancora PalaMaggetti. All’epoca la curva degli ultrà non era la Nord (incredibile, a pensarci oggi…) ma la Sud, vicino alla nostra panchina. Un’ora abbondante prima delle partita era già piena. Nella Nord invece dovevano prendere posto i tifosi ospiti.

I laziali arrivarono una ventina di minuti prima del salto a due, non so con quanti pullman. Rumorosissimi. Il tifo prenestino ve lo raccomando: gente dalla scorza dura, al limite della prepotenza, sicuri del fatto loro. Non per niente l’antica Preneste era là dov’è ora molto prima di Roma.

Occuparono la Nord, piazzarono i loro vessilli arancio e verde e partirono subito a squarciagola col coro “PA! PA! PALESTRINA!”, noto su tutti i campi della serie B.

Io non so bene cosa passò nella testa dei nostri tifosi in quei brevi istanti. Forse un misto di rabbia e di orgoglio ferito nel vedere il “loro” Palas affollato di sostenitori avversari come non mai. Forse la voglia di rimettere le cose in chiaro, tipo a casa nostra comandiamo noi. So solo che improvvisamente, mentre ero in campo a dirigere il riscaldamento pre-gara, li vidi venire giù dalla gradinata. Tutti insieme, a decine. Entrarono in campo correndo all’impazzata, un’onda umana irreale. Ce li vedemmo incredibilmente sfrecciare accanto, sfiorando i giocatori.

Capimmo. Puntavano dritti sulla curva degli ultrà di Palestrina, incuranti del fatto di passare sul parquet durante il riscaldamento delle squadre. Mi misi le mani nei capelli (a 29 anni li avevo). Era l’invasione di campo (15 minuti prima della partita…) più incredibile della storia del basket.    

Tememmo il peggio. Ma non ci furono scontri, per fortuna. L’obiettivo del “blitz” erano gli striscioni arancio-verdi, che in un baleno furono sottratti ai laziali e portati indietro, nel covo del tifo di casa, come bottino. Il raid era stato fulmineo, in un baleno gli ultrà rosetani erano tornati sulla gradinata Sud. Un colpo di mano troppo veloce perché i prenestini, ovviamente colti di sorpresa, potessero opporsi. La presero malissimo. E il peggio doveva ancora arrivare.

La parola passò al campo. Palestrina (li vedete nella foto, per gentile concessione di Mauro Braghese) era una grande squadra. Le punte di diamante erano Tomassi e Barraco, giocatori di categoria superiore. Poi la gazzella nera Kadir, l’ancora valido 2,08 Gigione Santoro, e ancora Lulli (non l’ex-capitano di Teramo), Rossi, Apolloni. Noi però giocammo a ritmi vertiginosi. Li colpimmo in contropiede, ripetutamente. Tirammo con percentuali altissime. Alla fine il tabellone recitava 94-87. Uno a zero per noi, primo passo verso la B1. E fu a quel punto che qualcuno decise di rovinare la festa.

Dopo la partita, in preda alla follia più irresponsabile, alcuni teppisti tesero un agguato ai pullman dei tifosi di Palestrina, prendendoli a sassate. Sudo freddo al solo pensiero della recente tragedia di Rieti, per lo stesso identico gesto folle. Poteva accadere qualcosa di irreparabile anche a Roseto, quella domenica di maggio del 1988. Fortunatamente non ci furono conseguenze gravi. Ma l’episodio di cronaca nera avvelenò il clima a livelli impensabili. I tifosi di Palestrina erano già incazzati per il furto degli striscioni, figuriamoci dopo la sassaiola.

I rapporti tra le due società restarono buoni. Il Club prenestino capì che l’agguato era opera di pochi balordi. Ma nei due giorni che ci separavano da gara 2 successe di tutto. Le notizie che arrivavano da Palestrina riferivano di animi esacerbati e terribili preparativi di vendetta. La società arancio-verde, scusandosi, rifiutò l’accredito alla TV di Roseto che trasmetteva le nostre partite. Non per acrimonia, ma perché temeva di non poter garantire l’incolumità della troupe.

Intervenne pure l’amministrazione comunale della cittadina laziale, che chiese ufficialmente di evitare l’afflusso di tifosi rosetani per evitare incidenti. Era chiaro che avremmo giocato in un clima di guerriglia.

La sera prima della partita arrivò la decisione, presa insieme ai tutori dell’ordine: a Palestrina sarebbe andata solo e soltanto la squadra, con la comitiva ridotta al minimo indispensabile. Era la decisione più saggia, per non accendere pericolose micce. Già, ma chi doveva andare in quell’inferno eravamo noi. (2. Continua)

La finale invisibile (2.)

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2 commenti su “La finale invisibile (2.)

  1. Grazie coach… grazie per questi ricordi. Spero possa diventare un appuntamento fisso la rubrica sul passato. Perchè, anche la stagione successiva, in B d’Eccellenza, merita di non essere dimenticata. Un abbraccio!!!

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