CINICO BLUES

Paoletto e Vincenzino

Quanto tempo rimane un allenatore nella stessa Società? Mediamente, da un minimo di due mesi a un massimo di tre anni. Quali sono i criteri in base ai quali viene giudicato? I risultati. Scusa, e la professionalità? Il contributo di idee alla programmazione del Club? La formazione e l’aggiornamento degli allenatori del settore giovanile? Niente di tutto questo. L’allenatore è bravo o somaro sempre e solo in base ai risultati che ottiene.

Può lavorare benissimo, al massimo dell’impegno e dello scrupolo. Può essere stimato dai dirigenti. Può essere apprezzato e benvoluto dai giocatori. Se perde ha sempre e comunque torto. Oppure può organizzare tornei di scopone al posto degli allenamenti: se vince ha ragione. E qualche giornalista, gridando al miracolo, pubblicherà uno “speciale” sui suoi metodi innovativi, lo scopone scientifico al posto del lavoro sul campo.

Quindi, vorrei che qualcuno mi spiegasse: per quale recondito motivo l’allenatore dovrebbe concentrarsi su qualcos’altro che non sia vincere le partite, con ogni mezzo lecito? Esempio concreto: perché mai dovrebbe far giocare i giovani? Per rischiare di perdere? Per costruirsi la reputazione di allenatore “coraggioso”? Per avere la nomea di uno che scopre e lancia i talenti?

Se i giovani sono già pronti, va bene. Ma se si tratta di un investimento a medio-lungo termine, ovvero di un percorso di miglioramento, chi glielo fa fare? Alla terza sconfitta consecutiva lo mandano via, oggi c’è domani non c’è, e dovrebbe rischiare il… vabbè, il sedere per lanciare nella mischia Paoletto e Vincenzino? Ma anche no.   

Paoletto e Vincenzino

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