CONTROMANO

Ci mancava il defibrillatore

Non bastava delegare agli istruttori di settore giovanile un mucchio di cose che non toccherebbe a loro fare. Tipo aprire e chiudere la palestra, portare i palloni, guidare il pullmino. E’ arrivata la perla finale, la ciliegina sulla torta: l’uso del DAE, Defibrillatore Automatico Esterno. Ci mancava solo quello.

ATTESTATO

Il DAE è quel congegno che si usa in caso di arresto cardiaco, per far ripartire il cuoricino capriccioso con un paio di scosse elettriche ben assestate. Si vabbè, coach Bianchi, hai voglia tu a usare questa terminologia da favoletta. Un arresto cardiaco sul campo è un evento drammatico, altro che “cuoricino capriccioso”. LO SO. Ma è proprio lì che voglio arrivare.

I numerosi casi di arresto cardiaco sui campi di gioco, alcuni dei quali finiti in tragedia, hanno fatto sì che negli impianti sportivi diventasse obbligatoria la presenza del defibrillatore. E fino a qui ci siamo. Poi però ci vuole uno che lo sa usare.

Prima delle partite, gli arbitri hanno il compito di verificare che ci sia un responsabile addetto all’uso del DAE, pronto a intervenire se serve. Il responsabile dev’essere in possesso di un attestato, che si consegue frequentando un Corso tenuto da operatori del 118 (che è diventato 112). E a questo punto cominciano i problemi.

IL TAPPABUCHI

Secondo voi, a livello di campionati giovanili, le Società a chi dicono “Vai a fare il Corso, così alle partite in casa come responsabile mettiamo te”? indovina indovinello. A uno dei dirigenti? No. A un collaboratore fidato? Nemmeno. A qualcuno che se la sente perché pensa di avere il sangue freddo necessario? Ma come ci pensi. Magari a un frequentatore abituale del palazzetto che svolge una professione sanitaria? Meglio di tutti a un medico, che (credo) non ha neanche bisogno di fare il Corso? Manco per niente, a nessuno di questi. E allora a chi?

Ma a chi se non a lui… Al tappabuchi universale, ovvero il coach! Che prima della partita, dopo aver collegato le prese del tabellone elettronico, corretto la Lista R puntualmente sbagliata, aperto la gabbia dei palloni e sistemato col nastro adesivo il numero sulla maglia di un giocatore, va dall’arbitro e gli dice: ebbene si, l’addetto al defibrillatore sono io.

NON SUCCEDE, MA SE SUCCEDE?

Ora. Ma se davvero qualcuno si sente male, Dio non voglia… E non per un attacco di diarrea, ma perché gli si ferma il cuore… Ripeto: non gli batte più il cuore! Non so se rendo l’idea. Perché a soccorrerlo mentre rischia di rimetterci le penne dovrebbe essere uno che non è del mestiere, che non ha il sangue freddo necessario, che magari si impappina e non si ricorda la procedura?

Dice: ma scusa, non hai fatto il Corso? Si, l’ho fatto. In un ambiente tranquillo, senza stress, senza paura di sbagliare e facendo pratica su un manichino. Pensa invece dover fare il massaggio cardiaco a uno che davvero non respira più, poi aprire il defibrillatore, far allontanare tutti, collegare le placche sul torace nei punti giusti, schiacciare l’interruttore e seguire le istruzioni della voce guida, sapendo che il tipo potrebbe andarsene all’altro mondo e che la sua salvezza dipende da te. Leggermente diverso.

E’ chiaro che non si può pretendere un’ambulanza su ogni campo di gioco. E’ chiaro che la presenza del defibrillatore sul posto fa guadagnare minuti preziosi. E’ chiaro che ci vuole l’addetto. Quello che non mi è chiaro è perché dovrebbe farlo l’allenatore.

TARALLUCCI E VINO

Ma dopo tutto questo sproloquio, ecco la degna conclusione. Se qualcosa malauguratamente va storto, all’addetto al DAE non si può rimproverare nulla. Se non se la sente, ciccia. Non si configura nessuna responsabilità, nessuna omissione di soccorso, tanto l’ambulanza bisogna chiamarla comunque. E l’ambulanza, si sa, è come il Natale: quando arriva, arriva. Ma allora, chiedo, invece di mettere in mezzo come sempre quello che nelle giovanili gli manca solo di spegnere le luci e passare lo straccio nello spogliatoio, non era meglio creare una figura professionale “dedicata”? Messa così com’è ora, mi sa tanto di tarallucci e vino.

Ci mancava il defibrillatore

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