Gli eunuchi nell’harem

Ci sono due tipi di giornalisti. Quelli che si limitano a raccontare gli eventi e quelli che pretendono di indirizzarli. I primi, secondo me (ma anche secondo Matteo, Marco, Luca e Giovanni), svolgono correttamente il loro lavoro. Non per niente si dice “cronista”. I secondi sono deontologicamente scorretti e spesso umanamente insopportabili.

Pizzini

Tra i giornalisti sportivi, tentare di influenzare ciò che accade è un vizio molto antico. Ricordo ancora un’intervista di Giovanni Lodetti, il calciatore del Milan, dopo i Mondiali del 1966: “Gianni Brera e Gualtiero Zanetti facevano recapitare al CT Edmondo Fabbri i ‘pizzini’ con la formazione. Quello leggeva e andava ancora di più in confusione”. Se è vero che i suggerimenti di Brera e Zanetti lo infastidivano, evidentemente Fabbri li considerava. In mille altri casi, i giornalisti si illudono beatamente che il loro parere conti qualcosa. Ma il destinatario delle indicazioni i giornali manco li legge. O nella migliore delle ipotesi, legge e si fa grasse risate.

Frasi celebri

Una delle considerazioni più sprezzanti sul ruolo dei giornalisti sportivi la fece Josè Mourinho: “C’è chi lavora e c’è chi scrive sul lavoro degli altri”. Bruttina eh? Ancora più lapidario Zlatan Ibrahimovic: “Voi parlate, io gioco”. Poi ci sono le definizioni elaborate dagli stessi critici. Si riconoscono perché si auto-attribuiscono la patente di competenza. Ad esempio Kenneth Tynan, giornalista inglese, una volta disse: “Il critico è uno che conosce la strada, ma non sa guidare”. Piuttosto macabra la riflessione di uno scrittore americano, Channing Pollock. Infastidito dalle recensioni negative ai suoi libri, commentò: “Il critico è un uomo che non ha le gambe, ma vuole insegnarti a correre”. Poi c’è quella bellissima di un drammaturgo irlandese, tale Brendan Behan, che mi è sempre piaciuta tanto: “I critici sono come gli eunuchi nell’harem. Sanno come si fa, lo vedono fare tutti i giorni, ma non sono capaci di farlo”. Per certi giornalisti è perfetta.