
Ex-giocatori, gioie e dolori
Per diventare allenatori, bisogna essere stati grandi giocatori? Oppure è sufficiente aver giocato, anche se non ad alto livello? O può diventare allenatore anche chi non ha mai preso un pallone in mano? Adesso sparo una decina di nomi. Prima gli italiani, come dice uno che non mi è simpatico. Ettore Messina, Sergio Scariolo, Andrea Trinchieri, Charlie Recalcati, Luca Banchi. Oltreconfine: Zeliko Obradovic, Jasmin Repesa, Ergin Ataman, Sarunas Jasikevicius, Pablo Laso. Non ho usato nessun criterio, sono semplicemente i primi che mi sono venuti in mente. Cos’hanno in comune questi 10 personaggi, oltre al fatto di essere tutti grandissimi allenatori? Nulla. Il punto è cosa NON hanno in comune. Alcuni di loro, prima di diventare allenatori sono stati giocatori professionisti ad alto livello. Questa “categoria” comprende Recalcati, Obradovic, Jasikevicius e Laso. Secondo gruppo: quelli che hanno giocato, ma a livello medio-basso, magari nelle categorie minori o solo a livello giovanile. Sono Messina, Repesa e Ataman. E infine quelli che praticamente non hanno mai calcato un parquet, se non da allenatori: Scariolo, Trinchieri, Banchi. Hai detto niente, tre top-coach.
VANTAGGI
Le carriere di questi dieci allenatori dimostrano chiaramente che una regola non c’è. Si può arrivare ad allenare ad altissimi livelli anche senza un passato importante da giocatore, o addirittura senza alcun passato da giocatore. Però io ho la mia idea, come sempre. Ed è questa. L’ex-giocatore ha una serie di vantaggi clamorosi: 1) ha trascorso interi anni della sua vita sul campo, ha una dimestichezza e una confidenza con la materia che nessun corso/libro/filmato può dare; 2) è in grado di dimostrare efficacemente ogni movimento; 3) conosce le dinamiche dello spogliatoio, le reazioni dei giocatori, la loro psicologia e può agire di conseguenza. E’ vero, ha anche un paio di svantaggi: 1) corre il rischio di fidarsi troppo del suo vissuto da giocatore, ovvero tende ad applicare concetti a cui è affezionato, ma non adatti alla squadra; 2) può soffrire della sindrome “ai miei tempi”, rifiutandosi inconsciamente di adeguarsi all’evoluzione del gioco. Secondo me, i vantaggi sono superiori agli svantaggi e un passato da giocatore -posto che se ne faccia buon uso- è una carta molto importante nelle mani di chi vuole allenare. Ma il punto non è questo.
PREDISPOSIZIONE
E allora qual è? Il punto è che sì, aver giocato aiuta molto, e infatti la categoria più numerosa tra gli allenatori è quella degli ex-giocatori; ma indipendentemente da questo, la qualità più importante per allenare è la predisposizione naturale a farlo. Altrimenti un Trinchieri o uno Scariolo non esisterebbero. E in passato non sarebbero esistiti Dan Peterson e Valerio Bianchini, mai stati giocatori, ma grandissimi esempi di leadership, autorevolezza, attitudine a guidare un gruppo. Capacità di imparare in fretta, abilità nel capire al volo le persone e le situazioni, credibilità nei rapporti, bravura nel motivare gli uomini, intuito nel riconoscere i terreni minati, conoscenza delle strategie di comunicazione, sono tutte cose che possono rendere un allenatore vincente al pari della tecnica e della tattica. A volte di più.
GREMLINS
Dice: ok., hai fatto il tuo bel sermoncino, possiamo essere d’accordo oppure no, ma non hai detto nulla di pepato. Non eri tu quello che guarda dietro la facciata, che scopre gli altarini, che va controcorrente? E va bene, chiudiamo in bellezza. La categoria di allenatori che hanno giocato, ma non ad alto livello, è numericamente in crescita. Questo perché nei settori giovanili dei grandi Club sono sempre più numerosi quelli che smettono di giocare a 17 anni e cominciano ad allenare a 18, partendo come assistenti magari dell’Under 14 o Under 15. Oh, sembrano fatti con lo stampo: giusto due-tre anni di tempo e assumono atteggiamenti da fenomeno, con una insopportabile puzza sotto al naso e ambizioni di arrivare ai vertici della piramide. Bianchini (ancora lui) molti anni fa questi qui li chiamava Gremlins, come i mostriciattoli di un famoso film. Ma non erano ancora cosi tanti. P.S.: chi si offende è fetente.
L’ex giocatore/allenatore che sa dimostrare ogni movimento è il commento che mi è più piaciuto. Ogni tanto, per passare un po’ di tempo, andavo a vend
ermi degli allenamento dei giovani allenatori i
gremlins ho visto pochissimi che dimostravano i movimento però sono bravi a portare la lavagnetta. Ciao Piero
Caro Sandro, i Gremlins sono famelici! O forse siamo noi che soffriamo della sindrome “Ai miei tempi”…
Al di là della competenza specifica senza la quale non si va da nessuna parte, il mestiere dell’allenatore richiede qualità caratteriali, attitudinali e comportamentali molto particolari…o le possiedi o non le possiedi, al di là di quanto hai giocato o a che livello. Giocare e allenare sono due mestieri diversi come fare il ballerino e fare il coreografo, qualche ballerino ha anche le qualità per fare il coreografo…ma qualche…altri studiano direttamente da coreografi
Così come non credo bisogna essere stati giocatori di alto livello per saper dimostrare bisogna avere conoscenza estremamente approfondita della materia, capacità di spiegare e capacità di insegnare ( cit. Julio Velasco). È così per tutti gli insegnanti in qualsiasi materia
Complimenti Piero ti leggo sempre
Bella sintesi. Un giorno scriverò degli ex-giocatori che diventano personalità di livello internazionale in altri campi