“Fate tre file”. Si, domani

Dov’eravamo rimasti? Ah, si: la tragica disabitudine dei giovincelli aspiranti giocatori
di basket ad eseguire le istruzioni.
Ho studiato molto questo tipo di reazione, anzi, di non-reazione degli adolescenti.
Non sono uno psicologo dell’età evolutiva, faccio pallacanestro. Quindi, a parte
qualche lettura più o meno mirata, ho potuto solo formulare delle ipotesi.
Andiamo per esclusione. Come abbiamo visto, la causa NON E’ “L’allenatore si è
spiegato male”, oppure “Il giovane giocatore non ha capito”. Tantomeno il motivo è
“Il ragazzo NON VUOLE fare quello che gli hai chiesto”, nel senso che si rifiuta. Tolto
che non avrebbe molto senso rifiutarsi -che ne so- di andare sulla linea gialla, se ci
fosse un che di ribellione magari lo si potrebbe cogliere dallo sguardo, o dal
linguaggio del corpo. Che invece dicono calma piatta.
A forza di riflettere, sono arrivato alla conclusione che la causa è la totale
disabitudine a ricevere un’istruzione, elaborarla ed eseguirla. Il ragazzo non fa quello
che gli hai chiesto NON perché non lo vuole fare. Semplicemente, tolta l’ora e mezza
di allenamento a basket, nelle altre 22 ore e mezza della sua giornata non gli capita
mai che qualcuno gli dica “fà questo” e lui deve farlo.
Ripeto, questa è una analisi del tutto empirica. Non ho studiato psicologia, non ho
studiato sociologia, mi baso su quello che vedo in campo. Soprattutto, non so cosa
accada al ragazzo quando sta a scuola o in famiglia. Tutto quello che so è che molti
adolescenti hanno reazioni rapidissime sulla tastiera degli smartphone, o dei tablet,
o dei pc, ma sul campo da basket sono totalmente imbambolati.
Una vocina maliziosa mi suggerisce che per questi qui la voce degli insegnanti e
quella dei genitori è un rumore di fondo. Si abituano ad ascoltarla come ci si abitua
al frastuono del traffico. Sentono, ma non ascoltano.
Adesso, se da zero a 13 anni i ragazzi maturano l’abitudine a ignorare qualunque
tipo di istruzione e a considerare la voce di chi parla con loro come una musica che
arriva da chissà dove o un cane che abbaia in lontananza, non è che poi arriva
l’allenatore di basket e di colpo ottiene quello che genitori e insegnanti in 13 anni
non hanno ottenuto (o non hanno saputo ottenere).

Ho visto allenamenti di squadre Under 13 in cui all’inizio, dopo un semplice “Fate tre
file a fondo campo”, l’allenatore ha perso 10’ solo per ottenere che si facessero le
tre file, con gente che invece di andare nella posizione prestabilita gironzolava senza
senso. Ancora più clamoroso: a livello Under 17 mi è capitato di chiedere a ragazzi di
fare DUE file a fondo campo (solo due). Una volta formate le file uno dei “giocatori”,
indeciso su quale fila andarsi a mettere, ha preso a correre di qua e di là come
impazzito. Vado a destra, no, a sinistra, no meglio a destra, aspetta, forse a sinistra.
Under 17! L’ho lasciato fare per qualche secondo, poi gli ho detto: “Tolto che se
continui tra un po’ ti arrestano per vagabondaggio… io non pretendo che tu arrivi a
capire ‘qui ci sono 5 compagni, qui ce ne sono 6, vado nella fila da 5’… capisco che è
un concetto un po’ difficile… ma per favore prendi una decisione in fretta e mettiti in
una delle due file, perché tra un’ora e mezza finisce l’allenamento”.
Intanto pensavo: e io avevo il coraggio di lamentarmi quando venivano a fare il
decimo in serie B totalmente digiuni.
Nel primo caso, quello dei 13enni che perdevano 10 minuti solo per mettersi a posto
prima di cominciare l’allenamento, il problema era chiaramente la disabitudine a
eseguire un’istruzione.
Nel secondo, quello del 17enne indeciso su quale delle due file scegliere,
evidentemente entravano in gioco altri fattori. A occhio e croce, una preoccupante
mancanza di prontezza e di reattività.
TU MI DICI A, IO FACCIO B
Poi c’è Il secondo aspetto del problema. Tu dici al ragazzo di fare una cosa, lui non
resta inebetito, si mette in movimento. Ma ne fa un’altra. In questo senso con alcuni
soggetti ho avuto esperienze terrificanti. “Passa la palla con la mano sinistra”. E lui
usa la destra. “Facciamo arresto e tiro da due punti”. E quello va fino al ferro. “Qui
metti una virata”. Il tipo fa cambio di mano dietro schiena. “Attacca la linea di
fondo”. Niente, quello parte sparato verso il centro.
Confesso: la prima volta non mi arrabbio e ripeto. La seconda volta ripeto a voce
alta, enfatizzando il concetto. La mia pazienza si può spingere fino alla terza volta.
Poi esplodo. Non è concepibile, né tollerabile, né accettabile che la voce
dell’allenatore attraversi la scatola cranica del ragazzo entrando da un orecchio e
uscendo dall’altro, senza lasciare traccia. L’incazzatura a quel punto è inevitabile. E

la pressione del povero istruttore schizza verso l’alto come un missile a Cape
Kennedy.
E visto che sono in vena di confessioni: mi è capitato anche di essere poco rispettoso
della figura degli insegnanti e di quella dei genitori. Nei momenti in cui ero più
arrabbiato, magari ho apostrofato la truppa in malo modo (eufemismo) con frasi del
tipo: “Non me ne frega nulla se a casa e a scuola siete abituati a fare il porco del
comodo vostro, qui fate solo quello che vi dico io”. Con grande sorpresa dei
“giocatori”, palesemente disabituati a una figura esigente che in vista di un
determinato obiettivo chiede determinati comportamenti.
Qui il discorso si amplia, investendo numerosi altri aspetti. Rapida carrellata di
anticipo sulle prossima puntate: 1. gravi problemi a livello motorio; 2.
rincoglionimento da smartphone; 3. mancanza del gioco in strada, all’aperto; 4.
educazione motoria a scuola non pervenuta; 5. zero senso dell’agonismo.
E non finisce qui. (2. Continua)

“Fate tre file”. Si, domani

Follow me!

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato. I campi obbligatori sono contrassegnati *

Torna su
PAGE TOP