CINICO BLUES

Il più deficiente

C’è una strana maledizione che mi perseguita. Quando vado a vedere qualche partita, il più deficiente del palazzetto si siede sempre vicino a me. Immancabilmente. Di qualunque campionato si tratti, in qualunque palasport io mi trovi. Gli spettatori possono essere 500 o cinquemila. Ma lui, proprio lui, il più scemo di tutti, è sempre lì sul seggiolino accanto al mio.

Puntualmente, il tipo mi rovina il pomeriggio passando tutti e 40 i minuti a vomitare stupidaggini. Parla in continuazione, non prende mai una pausa neanche nei time-out o nell’intervallo. Puntualmente, sono costretto a sorbirmi un’ora e tre quarti di cazzate. E’ evidente che non può essere un caso. E’ proprio un anatema, tipo la maledizione di Montezuma.

Qualche volta i deficienti sono addirittura due, scemo e più scemo. Tipo una volta, anni fa, ero a Caserta. Una squadra abruzzese si stava giocando la promozione in A2. La stagione era stata fantastica, squadra e allenatore avevano fatto un capolavoro. Bene: in un impianto da 7mila posti come il PalaMaggiò, dove potevano essere due simpaticoni che insultavano sanguinosamente il proprio allenatore? Indovinato, accanto a me. La squadra abruzzese vinse e fu promossa. Uno dei due disse all’altro: adesso la prima cosa da fare è cambiare allenatore. Quello non è buono per la serie B (l’aveva appena vinta…), figuriamoci per la A. E giù considerazioni pseudo tecniche a capocchia e ancora ingiurie, tutto in stereofonia. Uscii dal Palas in cerca della farmacia di turno per comprare un Moment.

Altro giro altra città, la mia. Combinazione (…), si accomodano proprio sopra di me marito e moglie, convinti di capirci perché il figlio di 8 anni faceva minibasket con gli “scoiattoli”. A un certo punto la squadra di casa fa una roba meravigliosa: penetrazione, scarico, extrapass, ancora penetrazione, difesa che collassa in area, vantaggio mantenuto con un ulteriore passaggio, la rotazione difensiva non arriva in tempo, tiro apertissimo con i piedi per terra. “Sdeng”, ferro. Peccato, perché il possesso era stato da manuale. I due graziosi coniugi impazziscono: “Ma che sono tutti questi passaggiiiii!! Dove si è visto maiiii!! Vi decidete a tirareeee!!”. Giuro, volevo alzarmi e andarmene. “Hanno paura di tirare!”, sentenzia lui. “E’ vero, non hanno fiducia in se stessi!” Gli fa eco lei. E da lì fino al termine della partita: “Tirate! Ragazzi, tirate! Non abbiate paura!”. Si vabbé, pure le citazioni di Woytila. Comprensione del gioco: sotto zero. Livello di presunzione: infinito.

Chiusura in bellezza. Vado a vedere la partita in una piazza storica, in quello che dovrebbe essere un tempio del basket. Trovo posto dietro alla panchina di casa, la visuale non è perfetta ma si colgono molti dettagli significativi. A un certo punto il coach mette sul cubo dei cambi il suo miglior tiratore, che era uscito forse per problemi di falli. Passano diversi minuti, ma la partita fila via senza interruzioni e il bomber tarda a rientrare, perché manca proprio l’occasione materiale per autorizzare il cambio. Lo credereste? Quello vicino a me si spazientisce, balza in piedi e corre giù a battere manate sul plexigas, rivolgendosi all’allenatore: “Hey, tu! Ma dormi? Ti decidi a farlo entrare? E’ un’ora che sta seduto lì!”. Io avevo le mani sulla faccia per nascondere la disperazione. Meno male che siamo nella culla del basket, pensavo, questi non sanno neanche il regolamento.   

Ora che ci penso, mi viene un dubbio terribile. Forse i deficienti a ogni partita sono più di uno o due.

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