
Grazie a chi?
C’è un’abitudine molto in voga. Pessima. L’allenatore esonerato affida ai social un comunicato in cui “ringrazia” la Società che lo ha cacciato, “per avergli dato l’opportunità” di allenare.
Poi ringrazia i giocatori, i collaboratori, il pubblico. E per chiudere in bellezza, si proclama “eterno tifoso” di quella Società. Pensa dove può arrivare la follia del politicamente corretto.
Per me, è come se il condannato a morte ringraziasse il boia che lo sta decapitando. O il plotone di esecuzione che lo sta fucilando.
Quando leggi queste dichiarazioni d’amore, non ti fidare. Nella stragrande maggioranza dei casi è solo facciata. L’allenatore strappalacrime in realtà sta pensando tutt’altra cosa: ce l’ha a morte con chi lo ha sollevato dall’incarico, gli tira il culo da matti per essere stato mandato via, è convinto di non meritare quel provvedimento. E manda le maledizioni di Macbeth al presidente, al direttore sportivo e a tutto il cucuzzaro.
Ma questo non gli impedisce di piantar giù la lagna dei ringraziamenti ipocriti, contribuendo all’ulteriore, progressivo indebolimento della figura del coach.
Ma come, ti cacciano via e tu ringrazi? E come ne può uscire la categoria degli allenatori? Come un branco di invertebrati senza spina dorsale. Specie se il Club la fa pagare a te dopo averti imposto scelte di mercato che non condividevi. O dopo aver sbandierato a reti unificate obiettivi troppo ambiziosi rispetto al reale valore della squadra. O dopo aver ammesso che paghi colpe non tue, “ma non potevamo cambiare tutti i giocatori”.
Bella figura. Bel modo di valorizzare la categoria.
Attenzione però: spesso l’ipocrisia è bilaterale. Se da un lato l’allenatore ringrazia chi lo sta pugnalando alle spalle, dall’altro il Club al danno aggiunge la beffa. I comunicati stampa che annunciano il cambio di guida tecnica a volte non si possono leggere, per quanto sono falsamente mielosi.
E’ successo non molto tempo fa che una Società, comunicando l’esonero dell’allenatore (era il bravissimo Marco Ramondino), ne ha riportato per filo e per segno l’intero curriculum, elencando tutti i successi. A casa mia questa si chiama “presa per il culo”.
Per non dire poi dei capolavori degli uffici stampa, quando pubblicano la gigantografia del coach defenestrato con la scritta “GRAZIE”. Mi ricorda il sommo De Gregori: ditele che la perdòno per averla tradita. Ma quella era poesia.
Io invece prenderei esempio da Attilio Caja, che dopo essere stato esonerato da Varese un paio di anni prima della scadenza del contratto, commentò: “Ringrazio la Pallacanestro Varese per quello che mi ha dato e per quello che mi darà nei prossimi due anni”. Lui era sincero di sicuro.