All’aperto? Non è basket

Il basket, seriamente, si fa in palestra. Camp, tornei e in genere tutto ciò che si svolge all’aperto non è basket, è villaggio turistico. Ma gli allenatori non sono animatori. Eccezioni? Va bene, le dico subito così ci togliamo il pensiero. Alcuni camp sono molto professionali, si lavora davvero sul miglioramento tecnico e fisico. I tornei estivi di una volta, quelli con gli americani in cerca di ingaggio in Italia per capirci, erano spettacolari e hanno messo in vetrina fior di giocatori. Parliamo degli anni ‘70. Potrei aggiungere le società che fanno post-campionato, ovvero allenamenti a giugno (quando si può). Questi club dimostrano competenza e lungimiranza. Ma il post-campionato, essendo appunto una cosa seria, si fa al coperto. Stop. Il resto? I camp nel giro di qualche anno sono proliferati, più cresce la quantità più si abbassa la qualità. La maggior parte sono nient’altro che vacanze. Se la fascia di età è quella in cui ribollono gli ormoni, la preoccupazione più grande per i responsabili è evitare incontri ravvicinati tra minorenni. Se ci sono dimostratori più o meno conosciuti, l’attrattiva per i ragazzi è stare gomito a gomito con quelli. Allenarsi all’aperto, d’estate, spesso è dispersivo e non favorisce la giusta atmosfera. I camp servono principalmente a far guadagnare soldi a chi li organizza (legittimamente, ci mancherebbe!), ma non ditemi che qualcuno è tornato migliorato. I tornei? Con tutto il dovuto rispetto per i Giardini Margherita a Bologna, i tornei sono puro folklore. Si gioca per mettere in mostra l’abbronzatura, per tirare al primo passaggio senza un briciolo di collaborazione, per sfottersi e litigare, per strappare un si a quella bionda là. Basket vero? Non pervenuto. Quanto al post-campionato, oggi dalla B in giù quasi tutti preferiscono congedare i giocatori un minuto dopo che è suonata la sirena dell’ultima partita. Il motivo è semplice: pagare 9 stipendi anziché 10 e svuotare gli appartamenti. Parafrasando Tim Roth nel film “La leggenda del pianista sull’oceano”, e i miglioramenti dei giocatori? In c*lo anche quelli.  

All’aperto? Non è basket

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