Prima i pugni, poi l’oro

Limoges, 30 maggio 1983. Agli Europei l’Italia affronta la favoritissima Jugoslavia, per l’accesso alla semifinale. Loro fanno paura: Cosic, Dalipagic, Kicanovic, Slavnic e pure un ragazzino terribile di soli 19 anni, tale Drazen Petrovic. “Come fermeremo i fortissimi attaccanti jugoslavi?”, avevano chiesto a coach Sandro Gamba prima della partita. Gamba il duro non si smentiva mai: “Con la pistola”. Voleva dire che contro fuoriclasse di quel calibro ci sarebbe stato bisogno di tonnellate di energia difensiva. Spari non ce ne furono. Cazzotti si. Riavvolgiamo il nastro. Partita dura, all’intervallo la Jugo è +6. Nel secondo tempo (non c’erano ancora i 4 quarti), i nostri ingranano la sesta e sorpassano. A circa sei minuti dalla fine scontro tra il nostro Gilardi e Petrovic, che finisce a terra. Pace all’anima sua, ma conoscendone la teatralità non posso non sospettare che abbia accentuato il contatto. Peter Vilfan ha la bella idea di andare a sfidare faccia a faccia Gilardi. Immediatamente l’adrenalina travasa e le panchine si fiondano in campo. Meo Sacchetti senza tanti complimenti afferra Vilfan per i capelli e lo trascina via. Parte inevitabilmente Dino, mostra i pugni e incalza Vilfan, che dà un bel saggio di come si corre all’indietro. Intanto Zizic rifila uno spintone a Sacchetti, mentre qualcuno (Marzorati, il massaggiatore Galleani) tenta di calmare gli animi. I giocatori in effetti provano a spiegarsi tra loro, c’è ressa, ma non ancora rissa. Poi però ci pensa Dragan Kicanovic ad accendere il fuoco. Di colpo tira un calcione nei testicoli a Renato Villalta, un altro che non porgeva certo l’altra guancia. Villalta va a terra, si rialza in un lampo e corre all’inseguimento di Kicanovic, che scappa a gambe levate. Riparte ovviamente Dino, ansioso di menare le mani. Ma soprattutto si lancia Sandro Gamba, il coach con più temperamento che l’Italia del basket abbia mai conosciuto, deciso a fare giustizia. “Quando Kicanovic ha colpito Villalta”, racconterà Sandro il duro qualche anno dopo, “ho fatto uno sprint per raggiungerlo”. Litigare con Gamba non era consigliabile, anche se all’epoca aveva 51 anni. Il 3 giugno di quest’anno ne ha compiuti 93. Quella volta che si buttò nella mischia molti ne furono sorpresi. Non io, che su questo Blog ho già riportato sull’argomento un pensiero di Cesare Rubini: “Mi basta Gamba al mio fianco e non ho paura di nessuno”. Il grappolo si formò -come spesso accade- sulle prime file dei seggiolini a bordo campo. Bagarre totale. Volarono pugni, tra gli azzurri Dino, Villalta e il “Marine” Bonamico erano i clienti meno raccomandabili. Qualcuno colpì Dino alle spalle, era l’unico modo. Lui si girò, il coraggioso era tale Grbovic, che per difendersi dalla inevitabile rappresaglia corse verso la panchina e dalla borsa del massaggiatore sfilò un paio di forbici. Piacendo a Dio la polvere si diradò e per fortuna sul campo di battaglia non si registrarono feriti gravi. La Nazionale aveva comunque dato grande dimostrazione di compattezza, più di un azzurro raccontò che quell’episodio aveva reso lo spogliatoio cemento armato. La vittoria sui “Plavi” (cioè azzurri, pure loro, ma quel giorno giocavano in bianco) fu netta, 91-76. Poi a Nantes l’Italia travolse l’Olanda in semifinale ed ebbe la meglio sulla Spagna di San Epifanio e Corbalàn nella finale per l’oro, con i baci di Caglieris al pallone che sarebbero rimasti nella storia. Kicanovic, assai criticato per il calcio a tradimento a Villalta, era reduce da due anni come straniero alla Scavolini Pesaro. Dopo quegli Europei dichiarò: “In Italia non torno più. Per me ormai è un Paese nemico”. 

Prima i pugni, poi l’oro

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