
Le calze uguali
La settimana scorsa ho sputato una delle mie sentenze. “L’arbitro scarso”, ho scritto, “ignora le randellate e fischia i sospiri”. Ovviamente non so resistere alla tentazione di tornarci su. Il sospetto più inquietante è che questo metro di giudizio, ovvero guardare la pagliuzza e non la trave, non sia solo un indice di scarsa qualità dell’arbitro, ma proprio un metodo. Una specie di “manifesto” o di bandiera per tutto il settore arbitrale. Non so da quanto ho questa impressione, sicuramente da molti anni. Ma ricordo perfettamente la prima volta che ho detto: “Ah, lo vedi che ho ragione?”. Serie B 2012-13, con Montegranaro eravamo in trasferta a Castel Fiorentino. Nel tunnel degli spogliatoi, prima del “riconoscimento” di rito, il primo arbitro fa: “Vedo che tu e tu -e indica due dei miei- avete le calze di colore diverso da tutto il resto della squadra. Dovete mettervi le calze uguali a quelle degli altri otto, altrimenti non posso farvi giocare”. Io cado letteralmente dalle nuvole, così gli arbitri mi spiegano: “Da Roma è arrivata una comunicazione molto chiara, le calze devono essere tutte dello stesso colore”. “Quindi”, dico all’arbitro, “se questi due non mettono le calze bianche non giocano?”. “C’è anche un’altra soluzione”, fa lui, “che tutti gli altri se le mettano nere”. Simpatia. Le calze uguali! Che fanno il paio con la maglia obbligatoriamente dentro ai pantaloncini e altre menate. Anni dopo, a livello giovanile (Under 17), uno dei miei non ha potuto giocare una partita perché aveva una scarpa verde e una viola. Non erano spaiate, quel modello era proprio così! Nessuna indulgenza, 40’ seduto.
SINTOMO
Sembra una sciocchezza, invece è il sintomo chiaro di un certo modo di ragionare. L’arbitro dev’essere impeccabile nel look, allineato nello stile di corsa, perfetto nelle segnalazioni al tavolo. Autorevole nella postura e fermo nel tono di voce quando viene a farti il sermoncino davanti alla panchina. Implacabile nell’affibbiare i falli tecnici e spietato se deve espellerti. E se chi viene espulso non gira i tacchi in una frazione di secondo, scatta inesorabilmente la squalifica. Vedi episodio capitato a Stefano Pillastrini, ne ho parlato la settimana scorsa nella rubrica “Contromano”. Il grande Pilla poi mi ha messaggiato: “In realtà sono rimasto in campo pochissimo tempo, giusto quello necessario per realizzare di essere stato espulso per somma di falli tecnici. Tra l’altro assegnati nel giro di pochi secondi”. Una giornata di squalifica… E va bene, ammesso e non concesso. Ma l’aspetto principale dell’arbitraggio, ovvero saper valutare i falli? Vogliamo occuparci un po’ anche di quello? Altrimenti la sensazione che gli aspetti di contorno siano più importanti del fischiare bene, da sensazione diventa certezza.
IL SEGRETO
Non lo dico io. Puoi conoscere il Regolamento a memoria come le poesie a scuola, puoi rispondere correttamente a tutti i quiz sui casi strani che si verificano in campo, ma il segreto per essere un buon arbitro è molto più semplice: conoscere il gioco. Se io vado ad arbitrare l’hockey su prato, hai voglia a studiare le regole. Quest’anno ho allenato U19 e U17, la mia prospettiva è limitata. Ma se devo giudicare la conoscenza del gioco dei giovani (volenterosi e simpatici, per carità) che arbitrano a livello locale in queste categorie… stavo per ridire “mi metto le mani nei capelli”, ma poi mi tocca veramente menare qualcuno.
AVER GIOCATO
Giusto 15 anni fa ero a una riunione di LegA2 a Bologna, in rappresentanza di Jesi. Sostituivo l’head coach Maurizio Bartocci. Quando ci chiesero di esprimere istanze e pareri in tema di arbitraggi, dissi: “Ma perché gli arbitri non si possono reclutare tra gli ex-giocatori, che partirebbero con svariate piste di vantaggio rispetto a chi non ha mai giocato?”. Per ex-giocatori intendevo gente adulta, che ha concluso una carriera, non un 15enne che ha fatto basket sei mesi. Risposta di Alessandro Teofili, all’epoca capo degli arbitri di A2: “Perché non si può avviare una carriera da arbitro così tardi. Non ci sarebbe tempo per gli avanzamenti (le promozioni, i salti di categoria, non so come si chiamino in gergo arbitrale, nda)”. “Per esempio”, concluse Teofili, “uno che comincia ad arbitrare a 35 anni non potrebbe mai aspirare a diventare Internazionale”. Ma arbitrerebbe nei campionati giovanili infinitamente meglio dei ragazzini. A dispetto magari di qualche chilo in più e di segnalazioni non proprio impeccabili. Che vi devo dire, rassegniamoci a vedere arbitri che puniscono gli starnuti e lasciano correre i tentati omicidi.
POST SCRIPTUM Se la prossima stagione qualche arbitro, vedendomi, dirà: “Ah! Questo qui è quello che scrive cazzate su quel blog di merda…”, sarò ben consapevole di come si è formato la sua opinione.
Rubrica eccezionale. Avanti così Piero.
Troppi complimenti, non sono abituato…
È sempre un piacere leggeri.