
Gli impiegati del catasto
Dico la verità: nei miei appunti c’era materiale per almeno altre tre puntate. Ma arriverei a sette, decisamente troppe. E allora sintetizziamo, questa settimana la puntata numero 5 e la prossima “The last dance”. Sono curioso di sapere in quanti si stanno riconoscendo nei disastri che ho descritto. Dieci su 25? Non è male. Qui sul sito la possibilità di interagire con dei commenti ancora non c’è. In compenso ognuno può dire la sua sulla pagina Facebook “Gli strani siete voi”, che questa settimana pubblica i link di tutte e cinque le puntate. Così è più facile averle tutte a portata di mano in attesa del (gran) finale.
LA PANCIA PIENA
Quando una formazione senior giocava con grande intensità, fino a una quindicina di anni fa si diceva: “Sembra una squadra Juniores”. Oggi non si può dire più. I 18enni adesso giocano con la stessa energia dell’Under 40, che fa la serie Zeta a pizza e birra dopo l’allenamento. Pure le formazioni di 50-60enni che partecipano alle competizioni del Maxi Basket ci mettono più entusiasmo. Ma quelli, si sa, sono terribilmente innamorati del gioco. Gli adolescenti invece sembrano impiegati del catasto: stanchi, spenti, anonimi. Vivaci come all’ospizio. Pimpanti come uno che si è appena svegliato. Ottenere che facciano le cose con intensità è un’impresa, non è proprio nelle loro corde. Non parliamo poi di un concetto astruso come aggressività: aspetta e spera. Qualcuno ha proprio paura del contatto fisico. Il problema è che per giocare con aggressività bisogna avere “fame”. Questi hanno la pancia piena, punto. Non sono abituati a lottare, a sbucciarsi le ginocchia, a conquistare un metro di terreno. No, questa del conquistare il terreno la cancello: ricorda troppo la deriva guerrafondaia che c’è oggi. Non sono abituati a porsi un obiettivo e a lavorare duro per raggiungerlo, ecco. Forse perché gli obiettivi ce l’hanno già bell’e sistemati nello zainetto che gli ha preparato la mamma.
RICREAZIONE
Oltre a quella dei nati stanchi, c’è anche un’altra categoria difficile da allenare. Quelli che vengono in palestra per fare ricreazione. Li riconosci subito: faccia da furbetti, sorriso perennemente stampato in faccia, un livello di reattività sicuramente superiore a quello degli “impiegati”. Però poi noti subito il loro girare la testa di soppiatto, per capire se l’allenatore li sta guardando prima di fare una zingarata. Tipico. A questi qui di solito dico: io sento l’erba che cresce. Mi accorgo di tutto, vedo tutto, anche se non ti guardo. Riga dritto o ti sbatto a sedere. Quello fa la faccia da angioletto e intanto cerca l’occasione giusta per fregarmi. Il problema di questa tipologia di ragazzi è che fondamentalmente non sono interessati a migliorare come giocatori. Vogliono solo divertirsi, e il divertimento magari è fare uno scherzo a un compagno, non certo capire la differenza tra arresto ad aprire e arresto a chiudere. Odiano i drills, amano il 5 contro 5. Al campetto ci vanno, al contrario dei nati stanchi e di quelli che passano la giornata a mangiare. Ma ci vanno per provare i tiri carpiati, rovesciati, controtempo, cadendo indietro. Guardano la Nba e pensano che il basket sia un circo. Complicano il gioco invece di semplificarlo, cercando esecuzioni difficili. Somigliano a quei giocatori di poker che non giocano per vincere, ma per giocare. Risultato: danneggiano la qualità degli allenamenti e non migliorano.
DI COCCIO
Tiriamo le somme. Intrappolato tra ragazzi problematici, scuola che non avvia allo sport, genitori invadenti, orari striminziti, allenatore della prima squadra che lo insulta, l’istruttore delle giovanili rischia di fare la fine del classico vaso di coccio tra i vasi di ferro (dove l’ho letta questa?). E non è finita qui. A complicare il lavoro dell’istruttore ci si mettono -poteva essere altrimenti?- anche le Società. Ma questo lo vedremo nell’ultima puntata.