Una brava persona

Poche cose mi danno fastidio come la retorica mielosa della “brava persona”. Faccio l’allenatore? Non mi interessa essere considerato una brava persona, voglio essere giudicato come allenatore. E’ ovvio, devo essere onesto intellettualmente, corretto, leale. Ma perché, un geometra, un magazziniere o un professore universitario non devono esserlo? Per fare bene un lavoro bisogna sapere come si fa quel lavoro, punto. Il resto è fuffa. Una quindicina di anni fa venne molto discutibilmente esonerato un allenatore tra i migliori d’Italia. Mi è rimasto impresso come un giornale locale commentò la cosa. Paginone doppio con la gigantografia del coach e titolo a caratteri cubitali: “Una brava persona”. Una brava persona! Cioè, per quel giornale la cosa più importante non era la notizia del cambio di guida tecnica. Non era la sorpresa per il licenziamento di un professionista che solo pochi mesi prima era stato proclamato miglior allenatore dell’anno per la A1. Non era approfondire i motivi di una decisione a dir poco strana. No. La cosa più importante era sottolineare che il coach rimosso dall’incarico era “una brava persona”. Accade sempre più spesso, i fatti concreti passano in secondo piano rispetto all’aria fritta. “Poesie”, così un mio compagno di scuola chiamava i discorsi vuoti e ampollosi. Essere una brava persona viene prima delle qualità professionali. E quando qualcuno muore, uguale o peggio. Può essere anche Einstein o Leonardo da Vinci, la prima cosa da chiarire è che “era una brava persona”. Altri esempi di considerazioni zuccherate: “i miei ragazzi” e il “cuore”. Cos’ha detto ai suoi ragazzi? Intanto non sono “miei”. E poi casomai cos’ho detto ai miei uomini, posto che si tratti di basket senior. Altro che ragazzi. Abbiamo vinto con il cuore. Certo, mica con la giusta selezione dei tiri, col contropiede o difendendo forte. No, col cuore. I “ragazzi” hanno “cuore” e il coach è una “brava persona”. Ma basta, per favore, basta. Parliamo di pallacanestro.

Una brava persona

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