Il nome alla fine

Un mio amico, che di mestiere fa il giornalista (incredibile vero? Ho anche amici appartenenti alla casta), mi ha raccontato che all’esame da professionista, chi non entrava subito in argomento veniva “tagliato” senza pietà. La regola è, dice lui che ci capisce: nelle prime righe devi andare al sodo e mettere già tutto. Di chi stiamo parlando, cos’è successo, quando è successo, dove, come e perché. Vietato fare noiose introduzioni, vietato dilungarsi. Quello casomai dopo. Ma l’essenziale, tutto e subito. Dovrei chiedere al mio amico di spiegare un paio di cosette a certi furfanti che scrivono sui siti e sulle pagine social di basket e altri sport. La “moda” dilagante oggi è non dire di chi si tratta, se non alla fine. Cioè: il protagonista, il personaggio a cui è accaduto un certo episodio, o semplicemente il campione da celebrare, NON viene nominato! Come se l’autore dello scritto volesse creare suspence. Convinto che al lettore piaccia giocare agli indovinelli. O che riconosca il tizio di cui si parla dalla foto (non sempre è possibile). O che abbia la pazienza di stare lì a leggere per 5 minuti senza sapere chi è il soggetto. Poi, in chiusura, la rivelazione: “Stiamo parlando di…”. E a volte nemmeno alla fine lo dicono, devi proprio capire da solo! Via via, ramazza in mano e tutti a scopare il mare. Se l’obiettivo è suscitare curiosità e far arrivare il lettore fino alla fine, con me proprio non attacca. In genere non vado oltre la terza riga. 

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2 commenti su “Il nome alla fine

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